Ricevere, Stile

Questa casa non è un albergo. E nemmeno un ristorante

at the restaurant by jek ka «La lingua della mia cucina non conosce il verbo “impiattare” (…), prevede lunghe cotture e porzioni generose. Riesuma quel reperto antico ed estinto che risponde al nome di “piatto da portata”: ovale o rotondo, smisurato. In lavastoviglie non ci entra neanche se lo prendete per i capelli, in compenso fa la sua figura in mezzo al tavolo e dice, ammiccando ai commensali, che se ne vogliono ce n’è ancora. Il piatto da portata è generoso, non è geloso come l’avaro piatto monoporzione che ti arriva davanti e poi quel che c’è c’è, scordati di chiedere il bis. (…) Non per nulla la mia frase fatta in cucina, anzi a tavola, è “ragazzi, è da finire” ».

Non credo di essermi mai riconosciuta tanto come in queste parole di Elena Loewenthal. Descrivono esattamente l’essenza di quello che è, per me, cucinare e ricevere. Un gesto di amore e condivisione, di affettuosa fratellanza, il desiderio di rendere partecipi le persone che mi sono vicine delle mie passioni e delle mie (spero) abilità.

Per questo non riesco proprio a farmi piacere quelle abitudini di derivazione alberghiera che in molti cercano di convincerci a portare nelle nostre case. Per quanto mi riguarda, per quanto possa essere bello riprodurre atmosfere eleganti e curare il minimo dettaglio, non va mai dimenticata una fondamentale differenza: al ristorante si riceve per profitto, in casa si riceve per passione. Le regole non possono quindi essere le stesse, né tantomeno possono essere equivalenti lo stile e l’atmosfera. Per questo dobbiamo fare attenzione a non cadere nella trappola – dettata, a mio modestissimo parere, solo da una grande insicurezza – di adeguarci pedissequamente a usanze del tutto fuori luogo in una dimora privata solo perché in uso presso luoghi che fanno del cibo un’attività redditizia.

Su tutte, quelle che mi sono più antipatiche riguardano la posateria  e l’impiattamento.  Come ho già scritto altrove, non capisco né condivido l’idea per cui sarebbe poco “chic” mettere già in tavola le posate da frutta o da dessert, quando questo sia previsto nel menu che offriremo ai nostri ospiti. Trovo sinceramente più scomodo e antipatico disturbare l’ospite nel corso della cena per presentargli qualcosa che avrebbe benissimo già potuto trovare pronto, e soprattutto non vedo perché – salvo non si disponga di un cameriere in guanti bianchi pronto a occuparsene al posto nostro – aggiungere un’ulteriore, inutile incombenza a padroni di casa che dovrebbero invece adottare tutte le strategie per essere il più possibile liberi di godersi il tempo assieme ai loro ospiti. Unica eccezione, le tavole veramente piccole, dove ogni oggetto non indispensabile al momento crea più disagi che vantaggi. Ma, si dirà, nei ristoranti eleganti le posate vengono portate volta per volta. Per forza. Un’apparecchiatura essenziale consente posti tavola più stretti, quindi più coperti; l’uso delle sole posate necessarie (non c’è mica il menu fisso) limita il costo di lavaggio e l’usura. Insomma, sono strategie – giustamente – commerciali, adeguate ad un luogo deputato al guadagno, non certo ad una casa privata.

Idem per l’impiattamento a oltranza. E’ vero, una pietanza disposta elegantemente nel suo piatto è una meraviglia per gli occhi, prima ancora per il palato. Ma, appunto, va bene al ristorante, dove il commensale sceglie a suo piacere cosa mangerà. La trovo invece un’abitudine inutilmente impositiva alle cene private, dove non è detto che tutto ciò che proponiamo sia gradito, e soprattutto dove l’ospite deve sentirsi libero di servirsi della quantità che trova più adeguata, sia in un senso che nell’altro. Buona educazione vuole che non si rifiuti del tutto una pietanza, ma nemmeno che si sia obbligati a mangiare tutta la porzione che il padrone di casa ha stabilito per noi. All’opposto, chi gradisce particolarmente un piatto renderà certo felice il cuoco se chiederà l’aborritissimo (da certuni) bis. Anche sull’impiattamento ci sono naturalmente le eccezioni: l’antipasto e il dolce, ad esempio, si prestano ad essere serviti in monoporzioni anche in casa. Per il resto del menu, a mio parere, è preferibile evitare: salvo naturalmente non si conoscano a perfezione gli ospiti, e si sia certi che questa scelta sia di loro gradimento.

26 pensieri su “Questa casa non è un albergo. E nemmeno un ristorante”

  1. Carissima, condivido il tuo pensiero, io amo i piatti da portata e le belle pirofile con sostegno in argento, la tavola e’ cosi’ bella! Anche se non e’ nelle regole del bon ton lascio che ognuno poi faccia da se’ e non mi servo nemmeno per prima.

  2. Condivido il vostro pensiero (anche se adoro le monoporzioni per una questione puramente estetica, e quindi mi sbizzarrisco con antipasto, dolce e qualche contorno!). E poi, finalmente, Donna Bianca lo hai fatto notare….il verbo “impiattare”, oltre ad essere OSCENO, ai limiti del pornografico (!), NON ESISTE!!!! Bastaaaa!
    Spero di non essere inopportuna se mi permetto di segnalarvi un articolo di questa mattina su Dissapore “SDG: sindrome da gastrofanatismo. 10 sintomi per riconoscerla”: a me ha fatto morire dal ridere! Spero di regalare anche a voi un sorriso! Buona giornata

      1. Direi che devi andarne fiera! Il “fanatismo”, a mio avviso, è sempre pericoloso!
        Io mi sono riconosciuta (ahimè!) nel punto sulla pizza: sono in una fase di fissazione per i lievitati soprattutto salati, quindi non vi dico neppure quante farine ho (che compro ovunque e ordino nei mulini più sperduti!) e quanti libri sto comprando non dico ogni giorno… ma quasi!

          1. Ciao, sono curiosa, com’e la “fase casalinga vecchio stile”
            Mi piace molto il tuo blog , lo leggo sempre.
            ciao

          2. Ciao Mariella, grazie dei complimenti e benvenuta! La fase casalinga vecchio stile è all’insegna della cucina e della tavola tradizionali: mi son messa (ehm, quando ho tempo) a fare la pasta e il pane, cucino in modo ultra-classico, apparecchio puntigliosamente, insomma a volte mi sembro mia nonna 🙂
            Per fortuna la famiglia apprezza 😉

  3. Concordo il pieno!!! Bei piatti di portata, zuppiere con dentro anolini in brodo fumanti, belle pirofile in ceramica bianca… il calore e la naturalezza dello stare insieme con famigliarità ed eleganza… Anch’io altrove ho messo in dubbio il fatto delle posate per frutta e dolce…. E’ così naturale… In casa mia si e’ sempre messa anche nella quotidianità … Ho smesso io solo perché normalmente non mangio frutta o dolci a fina pasto… Ma quando ricevo le metto… Alla faccia del neogalateo ( avevo una nonna molto attenta alle regole della tavola e se le metteva lei… Deve essere neogalateo) baci baci baci Ale

    1. Ma infatti, chi l’ha detto che le nuove usanze sono sempre migliori delle vecchie? In questo caso proprio no: anche a casa mia si sono sempre messe in tavola le posate da frutta o da dolce, secondo il caso ovviamente, e non ho certo intenzione di smettere di farlo perché una qualche moda attuale vorrebbe così 😉

  4. Ciao Donna Bianca bel post come tutti quelli che pubblichi. Complimenti! Ma il piatto di portata lo usi tutti i giorni o solo quando ricevi. Noi siamo in due + 4gatti e pure loro vogliono il loro piattino personale altrimenti non mangiano…io impiatto sempre però il tuo post mi ha messo la voglia di provare…ma come fai a tenere in caldo le pietanze? Grazie buona serata Daniela

    1. Nella vita di tutti i giorni non ho una regola fissa, dipende da quello che preparo. Tendenzialmente metto direttamente nella fondina i primi, e nel piatto da portata i secondi e i contorni. Poi c’è la volta che sono di corsa e metto direttamente dalla pentola tutta la cena: ma in famiglia è diverso, gusti e quantità si conoscono alla perfezione 🙂 Nel quotidiano il più delle volte preparo espresso e metto nel piatto a servire all’ultimo istante; nelle occasioni scelgo pietanze che posso preparare prima e semplicemente riscaldare: in questo caso è importante quantomeno intiepidire il piatto da portata per evitare che il cibo arrivi in tavola freddo. Se poi si può riscaldare in forno, meglio ancora: qui entrano in gioco le pirofile di cui parlava Angela, e che sono una grandissima risorsa in termini di praticità ma anche di eleganza 😉

  5. Ma preparando le pietanze in anticipo non sembra di offrire qualcosa di riscaldato? Potresti dirmi e alcune che si prestano così posso provare? Io fantasia zero! Ciao

    1. Direi che sono moltissime: per i primi, tutte le paste al forno, ma anche i timballi e gli anelli di riso; per i secondi, gli arrosti, e più ancora – vista la stagione – i brasati e le cotture in umido, che anzi sono migliori se preparati in anticipo e lasciati riposare; per le verdure, praticamente tutto tranne le patate. Bisogna solo prendere un po’ la mano sui tempi e le tecniche per evitare di presentare piatti stracotti o rinsecchiti 🙂

  6. Sono andata a leggere questa cosa di Dissapreche tra l’altro non conoscevo…..non mi sono riconosciuta in nessuno dei.10 punti. …e’ male o e’ bene? (sono di fretta) 🙂

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