Atmosfere, Ricordi

Requiem per un piccolo bosco di città

A pochi passi da casa mia, in pieno centro città, c’era un minuscolo bosco. Era nato spontaneamente, in un cortiletto adiacente ad un edificio abbandonato, una delle tante strutture pubbliche che, svuotate degli uffici che le occupavano, vengono lasciate a se stesse in attesa che qualcuno decida cosa farne.

A riprova che la natura vince sempre, nel giro di un paio di lustri in questo piccolo spazio erano cresciuti fiori, poi cespugli e infine alberi, persino un pesco che aveva miracolosamente prodotto la sua prima fioritura. Inutile dire che era un rifugio prezioso per passeri e altri uccellini, tra cui un meraviglioso pettirosso che ogni inverno, puntualmente, veniva a “fare la spesa” sul mio balcone: insomma, un angolo di pura magia nel pieno del caos cittadino.

Poi una mattina sono uscita per andare al lavoro, e quando sono tornata il piccolo bosco non c’era più: c’era in compenso una ruspa che stava cercando di ripianare il terreno, mentre alcuni operai caricavano su un camioncino gli ultimi pezzi dell’albero più grande. Nel giro di due giorni, il terreno è stato ricoperto di ghiaia, la recinzione rinnovata e provvista di un fiammante cancello elettrico: in breve, dov’era il piccolo bosco è spuntato un bel parcheggio riservato agli impiegati dei vicini uffici pubblici, evidentemente stufi di dover nutrire il parchimetro come tutti i comuni mortali.

Inutile dire che non c’è più traccia di passeri, e anche il pettirosso è sparito. Mi dicono di averlo visto aggirarsi con aria smarrita nel giardino della scuola di quartiere, unico posto dei paraggi dove sia rimasto – finché dura – un albero degno di questo nome.

Naturalmente nessuno si è lamentato, anzi: “finalmente hanno tolto quella schifezza, chissà quanti topi c’erano in mezzo”, il commento andato per la maggiore. Ovviamente gli eventuali topi, rimasti improvvisamente senza casa, probabilmente avranno cercato asilo nelle cantine delle case circostanti, e presto ne sentiremo parlare: ma tant’è, a questo nessuno vuole pensare.

Ormai è passato del tempo, ma la mattina ancora mi affaccio alla finestra e cerco il mio bosco. E mi pare impossibile che un tale piccolo miracolo sia stato spazzato via così, nel più assordante dei silenzi.

6 pensieri su “Requiem per un piccolo bosco di città”

  1. Peccato.
    Non solo per il bosco, ma per l’ennesima conferma della perdurante, inestirpabile impermeabilità delle menti italiane alla costruzione di un evoluto spazio pubblico. Ovunque nel mondo (tranne che qui) i parcheggi sono ormai multi-funzione, integrano la vegetazione a raso, le alberature, ospitano speci spontanee per limitare la manutenzione, integrano i panneli solari per fornire energia pulita a chi l’ha costruito, alloggiano panchine per permettere ai fruitori di godere di quello spazio e ai bambini di giocarci, quando le automobili non ci sono.
    Ovunque, tranne che qui.
    Un qui largo e lungo, che va da nord a sud e ci lascia seduti sull’asfalto.

    1. Ma per forza. Non si riesce a concepire una cultura della mobilità urbana che non preveda l’uso dell’auto privata, preferibilmente arrivando esattamente davanti al negozio di grido (perché quello interessa ai più, non certo monumenti, teatri e musei): quindi il parcheggio deve essere stipabile il più possibile di macchine, e qualunque cosa sia d’ostacolo, va eliminata senza pietà!
      Ci sono città che negli ultimi anni sono state letteralmente massacrate per far posto a orribili parcheggi che hanno stravolto l’aspetto di piazze storiche, quando a dieci minuti da lì magari esistevano parcheggi enormi – e gratuiti – che non deturpavano nulla.
      Ma si sa, dieci minuti a piedi in cambio di una città più bella, più vivibile e meno inquinata sono un sacrificio inammissibile, al giorno d’oggi.

  2. Fra l’altro, la presenza del verde rilancia il mercato immobiliare e accresce il prezzo dei beni, sia per gli acquisti che per le locazioni. Insomma: conviene da tutti i punti di vista. Com’è che non se ne sono accorti?

    1. Duole dirlo, ma questa è una sensibilità che hanno soprattutto i giovani, che purtroppo non hanno i mezzi: denaro e potere sono strettamente in mano a chi, per cultura generazionale, dell’ambiente si preoccupa poco.

  3. Non è purtroppo solo un problema della città. Anche la campagna è il più delle volte usata e non goduta da escursionisti frettolosi o portatori di sport che niente riservano all’apprezzamento dei luoghi: tutti, compresi gli “ecologici” torrentisti o arrampicatori, per non dire dei fanatici delle mountain bike che sfrecciano su sentieri attenti solo alla velocità e a non fare quelle cadute che a molti sotto il ferro amico auguro invece rovinose. Nessun commento (si qualificano da soli, nella categoria dei “peoci refati”, comunque) su chi in campagna (o in montagna) pretende di arrivarci su un multiaccessoriato SUV e finalmente può sfruttarne la fondamentale proprietà di poterlo parcheggiare sull’accidentato limitare del sentiero invece del più banale marciapiede.

    1. Quanto hai ragione! Ti quoto in particolare l’osservazione sui mountain bikers maleducati, vera e propria calamità dei sentieri di montagna: sono pericolosissimi soprattutto per anziani e bambini, non sempre pronti a saltare come lepri fuori dal sentiero per far strada a certi pazzi che sfrecciano come fossero in pista. Però loro vivono la natura, eh 😯

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