Sono cresciuta in una casa in cui sprecare era considerato inconcepibile. Il pane avanzato, per dire, non finiva certo nella pattumiera, ma amorevolmente raccolto in un apposito sacchetto, al buio di una delle credenze di cucina. Una volta alla settimana, una parte veniva grattugiata per gli usi di casa, mentre il resto finiva un po’ alle galline di amici abbastanza fortunati da vivere in campagna e un po’ ai cani dell’Adelina. D’inverno però una piccola quota veniva destinata a un rito che noi bambini adoravamo e aspettavamo con impazienza: il pranzo dei cocai!
Cocai, in Veneto, è il nome dei gabbiani, quei nobili uccelli bianchi e grigi dal becco aguzzo e dalle grandi ali che popolano non solo il mare ma anche i fiumi di terraferma. Il loro verso acuto e stridente è stato la colonna sonora dei miei inverni di bambina, e ancora adesso, quando lo sento, mi prende un po’ di nostalgia.
La domenica, quando c’era troppo freddo per le tradizionali passeggiate di famiglia, papà ci portava al fiume a dare il pane vecchio ai cocai. Il fiume era grigio e malato, in quegli anni: non c’era tutta la vita che lo popola adesso (cigni, cormorani, anatre e oche), resistevano solo i gabbiani, suoi signori incontrastati.
Il rito aveva uno svolgimento preciso: si camminava fino ad arrivare in quei punti della città dove nei muraglioni si aprivano spazi ad altezza di bambino, uno alla volta si pescava un pezzetto di pane dal sacchetto e la magia aveva inizio. Il primo lancio era compito di papà: era ovviamente il più forte, e il pane arrivava abbastanza lontano da attirare l’attenzione dei nobili pennuti, paciosamente in siesta sulle secche al centro del fiume.
In pochi minuti eravamo circondati da una nuvola di ali candide, impegnate in una danza che spesso degenerava apertamente in rissa, nell’intento di accaparrarsi i bocconi migliori. In questa confusione si infilavano a volte coraggiosi piccioni e, più raramente, qualche ballerina, accolta con entusiasmo da noi piccoli, incantati dalla bellezza della sua livrea bianca e nera e dall’eleganza delle sue mosse.
Poi, com’era iniziata, la magia finiva. Il sacchetto era ormai vuoto, e i gabbiani sazi e soddisfatti se ne volavano lenti verso il centro del fiume, compattandosi in un piccolo esercito candido.
Da molti anni ormai nutrire i gabbiani è vietato. Ragioni di tutela ambientale e di igiene pubblica hanno spinto gli amministratori a questa scelta, giusta ma un po’ dolorosa, per chi come me ha avuto modo di vivere la bellezza di questa esperienza. E mi sale una certa malinconia se penso ai bambini di oggi, che non sanno cosa vuol dire mettere da parte ogni boccone di pane avanzato per regalarsi la magia di un volo di ali bianche, in una domenica d’inverno.
Bellissimo questo post…Soprattutto che nostalgia! Io invece mi ricordo del pollaio di mio nonno di
quando lo accompagnavo per dare da mangiare alle galline ma non entravo perché mi facevano paura 😊
Anch’io avevo paura delle galline, e a dirla tutta, non le guardo benissimo neanche adesso!
Povere galline! 😀
You are so right Donna…we don’t allow feeding of sea gulls in the states either. although many people ignore the laws and do it anyway. On my ranch/farm…I did feed all my fowl including turkeys, ducks, guineas, chickens, and peacocks so I did enjoy the pleasure. thank you for sharing your experiences as a child.
Kari @ Me and My Captain
Kari, you described a little paradise! Lucky you!
I ricordi d’infanzia sono inestimabili, e tu hai il talento di renderli vividi ed immediati ai nostri occhi. Io non ho particolari reminiscenze delle domeniche invernali, perché, sempre vissuta all’estrema periferia di una cittadina, ero sempre a contatto con la natura, in giardino e nei prati vicini, e d’inverno, a parte i giochi sulla neve, di solito andavo all’oratorio come quasi tutti i ragazzini. Però rammento un momento magico nelle mattine di nebbia, quando andavo da sola alle elementari (oggi sarebbe inaudito!): arrivata nella grande piazza vicina alla scuola, nel quasi assoluto silenzio del primo mattino. mi divertivo a raggiungere il centro esatto della piazza per trovarmi “sotto la calotta”: ovattati gli edifici circostanti, la nebbia intorno a me sembrava una specie di grande cupola opalina circolare, mi sentivo come un pasticcino sotto uno di quei coperchi di vetro per le torte… Che può fare la fantasia dei bambini!
La fantasia è un dono meraviglioso, dovrebbero insegnarci a coltivarla, anziché trattarla da debolezza puerile!
(Anch’io alle elementari andavo a scuola da sola. Altri tempi, nel bene e nel male!)
Abito nella periferia della mia città balneare e da me i gabbiani si riuniscono sul cornicione del palazzo costruito 30anni fa(mannaggia!) davanti casa mia, e cantano, si fa per dire, a qualunque ora del giorno, però non scendono mai a cercare qualcosa da mangiare ma se capita di andare a fare un picnic sulla spiaggia accorrono subito per aspettare un boccone. Qui non ci sono divieti, ma certe volte sono un po’ invadenti, sembrano avvoltoi in attesa dell’ultimo respiro dell’eventuale ‘banchetto”, i bambini però si divertono lo stesso a tirar loro i pezzi di pane. Abbiamo anche alcuni punti della città vicino ai canali dove sono riunite famiglie di Anatre o Acquatiche ed è lì che qualcuno si prende la briga di portare il famoso pane secco per dare loro da mangiare, sulla Fossa dell’Abate invece, che fa da confine con Lido di Camaiore ci sono addirittura un gruppo di oche che se ne sta spesso spaparanzato al sole e ogni tanto il traffico si ferma perché loro attraversano la strada da un ciglio all’altro ed è divertente vederle passare con la loro calma noncuranti del traffico cittadino.
Pensa che su Fb una signora ha commentato raccontando che a Venezia i gabbiani ormai sono assatanati e scippano il cibo di mano ai turisti! I cocai della mia infanzia non erano così sfacciati 😱!
Ah non ci sono più i gabbiani di una volta…
Scandaloso, nevvero?
I “cucale” della Città sulla Costa (Orientale, per cui sempre Adriatico), invece, oltre che sulla foce dei vari torrenti o sul fiume che aggiunge il suo nome a quello della città, si attardano sugli scoglio dei moli (lì sono sicuri di “beccare” un sacco di roba buona, dai pescatori per hobby e da quelli professionali . . . ma, secondo me, la cosa più interessante è vedere la pendolarità di quelli che risalgono verso l’interno, per andare a “pascolare” sul fiume o nelle campagne. Stormi di bianchi uccelli che, mattina e sera, fanno il percorso di andata e ritorno, sempre alla stessa ora e tutti insieme! 🙂
Sai leggendo e rileggendo ho pensato che, tra divieti, telefonini, televisione in auto e altri impegni di cui sono infarcite le giornate sia dei pargoli che dei genitori, le nuove generazioni non avranno il piacere di questi ricordi . . . peccato! O fortunate noi, di altre epoche, nelle quali ci si emozionava con poco! Si era felici per un arcobaleno (ultimamente, m’è stato risposto: “L’arcobaleno? Sì me l’hai fatto vedere anche l’altra volta . . . e c’è anche su Google!”, come dire “visto uno, visti tutti”! 🙂
Ciao, Fior
Mi viene in mente il racconto di un’amica, accompagnatrice turistica, cui un nutrito gruppo di viaggiatori, di fronte alla terza piramide di un tour in Egitto, commentò sbuffando: “Vabbè cosa ci siamo fermati a fare, sono sempre i soliti quattro sassi…”
FigliaPiccola, a Roma da quando aveva 19 anni, una domenica ci porta in un rapido tour . . . noi due ci fermiamo ad ammirare i Fori Romani (la Cloaca Massima, in particolare), lei era andata avanti qualche passo, torna indietro e ci fa: “Si ma non fermatevi a meditare su ogni rovina, sono sempre i soliti sassi vecchi!!!” Il padre, poverello, era la prima volta che li vedeva! 🙂
Ciao, Fior
😱😱😱