Galateo, Ricevere

Storia e storie del galateo. 5. Lina Sotis

Gli anni della contestazione, lo abbiamo visto, spazzano via l’idea del galateo come patrimonio sociale. Ora essere “informali” diventa un punto d’orgoglio, e non importa se questo concetto è spesso confuso con la maleducazione.  L’apice del fenomeno si tocca negli anni Ottanta, quando un improvviso e diffuso benessere economico fa cadere ogni riferimento agli strati storicamente più alti della società come riferimento per i comportamenti sociali. La commedia all’italiana ci si fionda, con una nutrita serie di film che fanno sorridere dello stereotipo dell’arricchito ma anche dell’ingessata e autoreferenziale classe “alta”.

Film commedia Anni Ottanta

Questa infatti si chiude a riccio, cercando di arginare l’invasione dei parvenu. In un simile contesto, è inevitabile che si assista a un nuovo tentativo di rinvigorire il valore del galateo come elemento di distinzione sociale. Se ne fa carico una nota giornalista e scrittice, Lina Sotis, che ha la geniale intuizione di utilizzare un’espressione francofona per ammantare il tema di un’aura accattivante: non è più galateo ma bon ton, presentato come uno stile di vita,  e non solo un insieme di regoleInsomma, non si segue il bon ton, si “è” bon ton.

Bon Ton. Il nuovo dizionario delle buone maniere esce nel 1982 e fa subito il botto, tanto che l’espressione entra rapidamente nel linguaggio comune. Strutturato come un dizionario, elenca in ordine alfabetico problemi e situazioni che poi analizza in poche e lapidarie parole. Lapidarie, appunto: tanto che la sensazione è che non si voglia davvero dare un insegnamento, ma piuttosto ironizzare su chi “vorrebbe essere” ma “non è”. Qualche esempio? Alla voce “Linguaggio” leggiamo “Pessimo effetto fanno le parole tipiche di un certo clan sulla bocca di chi a quel clan vorrebbe appartenere”. Ancora, alla voce “Gioielli”: “E’ inutile esporli tutti insieme: invece che una donna ricca, sembrerete una nuova ricca”. E di nuovo a proposito di “Nuovi ricchi”: “Frequentateli sempre, vi faranno sentire migliori”.

Ora, anche Donna Letizia sapeva essere caustica ma mai, nel suo Il saper vivere, aveva adottato un atteggiamento così snob e giudicante nei confronti di chi, poveretto, aveva bisogno dei suoi consigli. Bon Ton, invece, apre la strada a una serie di manuali di galateo dove la sensazione è di avere di fronte tanti maestrini dalla penna rossa pronti a riprendere con aria di scocciata superiorità un volgo che peraltro, all’opposto del volonteroso pubblico di Donna Letizia, non sente per nulla la necessità di essere ammaestrato e, anzi, risponde facendo spallucce.

Probabilmente è proprio per questo che, nonostante il suo grande successo editoriale, Bon Ton non porta un incisivo ritorno alla buona educazione. E’ comunque un libro fondamentale nella storia della letteratura del comportamento italiana, perché è l’ultimo – almeno, fino a oggi – a riscuotere un grande successo di pubblico.

Negli anni a seguire, e ancora ai nostri giorni, saranno dati alle stampe moltissimi manuali di buone maniere che però resteranno sempre opere di nicchia. Non so se questo si debba solo ai citati toni da “nobildonna che si degna di insegnare alla plebe” o piuttosto al rifiutarsi di accettare il fatto che i tempi sono cambiati e che molte norme del galateo  dovrebbero essere riviste: il risultato è comunque che in troppi, oggi, continuano a considerare la buona educazione come un capriccio da vecchie signore snob, anziché come un valore aggiunto che distende e migliora i rapporti interpersonali. E questo è proprio un brutto guaio.

9 pensieri su “Storia e storie del galateo. 5. Lina Sotis”

  1. Ho sempre detestato i famigerati anni Ottanta, proprio per il loro “spatuss”(intraducibile parola piemontese che significa sfarzo, esibizione volgare di ricchezza, ostentazione). Di quest’autrice non ho letto il libro, solo qualche risposta sui settimanali, e in effetti dava anche a me un’impressione di snobismo… Per insegnare occorre mettersi sullo stesso piano dell’allievo, non far calare la scienza dall’alto come un deus ex machina.
    Rispondendo alla gentile Vita in Casa: la scuola fa quello che può; la prima cosa che facciamo, a inizio anno, è piantare tutta una serie di paletti per “circoscrivere” alunni quasi bradi, continuando poi per tutto l’anno a battere sul tasto del rispetto e della cortesia… purtroppo ostacolati da media ptopagatori di ogni volgarità, da svariati genitori autoreferenti e spesso maleducati e – ahimé, come in ogni mestiere- da qualche collega che avrebbe fatto meglio a ritirarsi in un capanno sui monti come il Dinamite Bla di disneyana memoria 🙄

    1. In realtà nemmeno io la ricordavo così tanto “pungente”, ammetto che rileggendola ci sono rimasta anche un po’ male: ma come tutto, anche questo libro va contestualizzato e non c’è dubbio che all’epoca l’aria che si respirava fosse proprio questa. Per il resto come dicevo sopra prima della scuola dovrebbe esserci la famiglia, ma hai voglia a sperare che si insegni qualcosa che i più considerano “inutile roba da ricche signore snob”…

  2. Del libro di Lina Sotis ho purtroppo un ricordo sgradevole. L’ho letto a metà degli anni 80 e mi ha colpito l’arroganza classista che emanavano le parole dell’autrice.

  3. L’etichetta, la cosiddetta Buona Educazione, serve per vivere meglio fra gli altri.
    Ciascuno di noi è libero di comportarsi come crede, ma comportarci secondo standard condivisi e ben rodati rende più piacevole la convivenza.
    È chiaro che chi è abituato a questi standard possa avere un atteggiamento di fastidio nei confronti di chi non li adotta. Così come chi non li ha mai adottati possa leggerli come inutili e snob.
    Conosco persone che incapaci di stare al passo con i tempi si arroccano dietro l’etichetta come fosse un titolo nobiliare e conosco persone che dopo essersi ostinate a non volerla apprendere si sono trovate in situazioni imbarazzanti, in cene formali di lavoro.
    Ogni scelta ha i suoi vantaggi e svantaggi 🙂

    1. Innanzi tutto mi scuso per il ritardo nella risposta, il sistema non mi aveva notificato il commento che è quindi rimasto un po’ nel limbo.
      Per il resto, sono fermamente convinta che attitudine alla gentilezza e buona educazione di base dovrebbero far parte del bagaglio culturale di ogni persona, a prescindere da estrazione sociale, capacità economiche e livello di istruzione. Purtroppo negli ultimi anni abbiamo visto l’esatto contrario, ma confermo, presentare le buone maniere come un qualcosa di imposto dall’alto con aria di superiorità non ha fatto che peggiorare la situazione.
      Speriamo sia finalmente giunto il momento di guardare al tema con maggiore equilibrio, ce n’è davvero bisogno 🙂

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