Com’è ovvio vista la situazione, non ci sarà l’iconico picnic di Pasquetta, quest’anno. Prima o poi però questa emergenza passerà e potremo finalmente tornare a regalarci qualche bel pranzo sui prati. Perché non approfittarne, allora, per riepilogare un po’ le regole del picnic (quasi) perfetto?
Iniziamo dalla scelta del luogo. Poche città italiane offrono parchi dove si possa mangiare sull’erba senza incappare in bisogni canini, bottiglie rotte, siringhe e altre schifezze. Chi può, ne approfitti! Gli altri sono infatti costretti a pellegrinare fuori porta alla ricerca di un prato dall’erba di altezza accettabile, non troppo assolato e soprattutto raggiungibile senza eccessive peripezie. Il picnic perfetto richiede infatti un contesto ameno, quindi difficilmente raggiungibile senza almeno un tratto da percorrere a piedi o al massimo in bicicletta. Cibo e attrezzature dovranno quindi adeguarsi: la giornata dev’essere piacevole, non certo un tour de force con i partecipanti trasformati in portatori himalayani!
Più lungo sarà il tragitto da percorrere, più leggero dovrà essere il corredo da trasportare. Andranno quindi privilegiati cibi che non necessitino di essere refrigerati e che siano già divisi in monoporzione: oltre ai classici sandwich, quiche, focacce, insalate di vario genere. Le bevande si possono portare in bottiglietta, da bere con l’aiuto di una bella cannuccia – rigorosamente NON di plastica. Avremo così la possibilità di rinunciare senza problemi a piatti e bicchieri, e quindi al peso e all’ingombro conseguenti: basteranno una bella sporta capiente, un plaid possibilmente rivestito in materiale impermeabile, una tovaglia in tinta, dei tovaglioli e il picnic sarà servito.
Se invece abbiamo la possibilità di raggiungere un bel posto senza troppa fatica, possiamo pensare di regalarci il tradizionale cesto di vimini all’inglese. Questo genere di allestimento, ci piaccia o meno, rifugge l’uso di materiali usa e getta, e potendo evita anche la leggera ma triste melammina. Il cestino autenticamente british non può che avere al suo interno piatti in ceramica, bicchieri in vetro e posate in acciaio: qualcuno va oltre scegliendo fine porcellana, cristallo e argento, ma diciamo che già la prima versione è più che sufficiente.
Ne risulta un cesto che pesa un quintale già da vuoto? Indubbiamente, e del resto chi ha diffuso questa moda i cesti mica se li portava in spalla: ci pensava la servitù! Oggi che si fa (quasi tutti) da sé, questo genere di picnic è un po’ la versione conviviale del tacco 12: di grande effetto ma scomodo e piuttosto stancante, e quindi da riservare a poche e scelte occasioni.
Ma torniamo alle stoviglie. Saranno più che sufficienti, per ciascun commensale: un piatto piano di dimensioni ridotte; un bicchiere; forchetta e coltello; forchettina per il dolce, mug per tè o caffe e relativo cucchiaino solo se avanza spazio. Sempre se avanza spazio, sono consigliabili saliera e pepiera, e in caso di insalate da condire sul posto una bottiglia d’olio in formato mignon a chiusura assolutamente ermetica. Irrinunciabile invece un piccolo cavatappi/apribottiglie.
Se il cestino è strutturato bene, resterà abbastanza spazio anche per le cose da mangiare. In caso contrario, non resterà che caricarsi in spalla un ulteriore cestino, esclusivamente dedicato a cibo e bevande.
Qualunque sia la nostra scelta, non dimentichiamo ovviamente le regole base del pic-nicqueur educato: in primo luogo, ciò che si porta si riporta a casa, resti di cibo compresi; “tanto è biodegradabile” non autorizza a seminare spazzatura! Poi, massimo rispetto per chi ci circonda: no a musica a tutto volume, no a fuochi accesi fuori dagli spazi appositamente deputati, no a raccogliere inutilmente fiori, e occhio alle pallonate contro gli alberi, specie se da frutta; per finire, se abbiamo con noi il cane, attenzione a che non si perda e che non insidi nidi e tane.
Avendo abitato da sempre in periferia, tra campi e prati, non sentivamo la necessità di andare a fare un picnic proprio sotto casa; invece ne ricordo vari in montagna, molto spartani, con panini e succhi di frutta, come brevi tappe durante le escursioni. Bei tempi… adesso siamo tutti agli arresti domiciliari…
Del tuo preciso ed esauriente elenco mi manca un’esperienza che difficilmente potrò concedermi: il picnic nell’intervallo del festival operistico di Glyndebourne🤩, in abito da sera, con cristalleria e argenti (ho le stesse probabilità di essere invitata da The Queen per una tazza di tè 😉)…
Tornando alla realtà, mi sa che oggi molti si sono dati al picnic sul balcone; ho appena ricevuto il video dei piccoli Unni, che hanno organizzato una scampagnata sul terrazzino, con plaid e tovaglia d’ordinanza, cuscini, piatti e bicchieri di carta, torta salata e spiedini per cui hanno collaborato, nonché balletti vari e giochi postprandiali… Pare che si siano divertiti, i bambini hanno più resilienza e immaginazione degli adulti…
Ehm, signora, lei mi confonde pranzo al sacco e picnic! Il primo è appunto la pausa mangereccia durante un’escursione, il secondo un vero e proprio pranzo all’aperto relativamente stanziale.
Ma pignolerie a parte, confermo che i bambini sono molto più adattabili, a patto di avere attorno adulti che li sappiano far sentire al sicuro, cosa non sempre facile né scontata. In questo i tuoi nipotini sono evidentemente molto fortunati ❤
Grazie della precisazione, hai ragione! 😃