Le notti di inizio estate regalano magie. Il volo incantato delle lucciole ai margini del bosco, il canto dei grilli, i riflessi di luna sui fiori chiari, le gocce di rugiada pronte a brillare alla prima luce del mattino. Poi ci sono notti più magiche di altre, tanto che da sempre gli uomini ne celebrano la bellezza.
E’ il caso della notte di San Giovanni, una delle più brevi dell’anno, inizio della stagione delle messi. Nella tradizione contadina, proprio perché segnava l’ingresso nella metà più fruttuosa dell’anno agrario era detta anche “Natale d’estate”. Chi nasceva in questa notte era considerato particolarmente fortunato, al pari di chi vedeva la luce nella Notte Santa.
Sono moltissime, in ogni parte d’Italia, le tradizioni popolari legate a questa notte incantata. Hanno quasi tutte a che fare con il fuoco e l’acqua, perché nei tempi antichi il solstizio d’estate era ritenuto il momento dello sposalizio del sole e della luna, rappresentati appunto da questi due elementi. Ecco quindi che in molte zone era abitudine accendere grandi falò per scacciare il male in tutte le sue forme. Si riteneva che la cenere di questi fuochi, sparsa sui campi, proteggesse i raccolti, e che un loro tizzone avesse la stessa funzione protettiva con le case e i loro abitanti.
Altrove però era l’acqua a prevalere, e in particolare l’acqua stillata dalla notte, ovvero la rugiada. La tradizione contadina attribuiva alla rugiada della notte di san Giovanni poteri straordinari: si credeva che proteggesse dalle malattie della pelle, che aiutasse le donne a conservare la loro bellezza e persino – se usata per abluzioni “là dove non batte il sole” – che favorisse la fertilità.
C’erano molti modi per beneficiare di queste perle d’acqua prodigiose, come per esempio rotolarsi direttamente sull’erba ancora umida o impregnarne una pezzuola passandola su prati e fiori. In alternativa, si poteva preparare la cosiddetta “acqua di san Giovanni”, così bella e poetica che in molte zone la si prepara ancora oggi, in omaggio a secoli di tradizione contadina.

Fare l’acqua di san Giovanni è molto semplice. La sera del 23 giugno si riempiono un catino o una ciotola di acqua fresca e vi si immergono fiori ed erbe appena raccolti. Il catino fiorito va poi lasciato all’aperto fino all’indomani mattina perché possa assorbire la rugiada di questa notte incantata.
Fantasie di un tempo passato? Certamente. Ma anche poesia e comunione con la natura, in una notte che non a caso la Chiesa ha consacrato al santo che, per primo, benedisse l’acqua e la usò per il Battesimo. In fondo, anche questo è un modo di godere delle meraviglie del Creato, e rendere grazie per la sua infinita bellezza.

E anche se non è una tavola ci metto lo stesso la #pubblicitàaggratis, che tanto lo so che se no me lo chiedete:
Ciotola: Burleigh “Regal Peacock”, presa on line sul sito della manifattura
Fiori: dal non-giardino di collina
Non conoscevo la storia dell’acqua di San Giovanni, interessante!
Nel Torinese un tempo erano innumerevoli i Giovanni, Giovanni Battista, Battistino, ecc… in onore del Santo patrono di Torino; ed una delle feste più sentite nel capoluogo è ancora il 24 giugno. Tra gli eventi più attesi, il tradizionale “farò ” (*) in piazza Castello, dal quale trarre auspici a seconda della direzione in cui cade la massa infuocata: anche qui, reminiscenze della notte dei tempi, divenute poi simbolo della luce della fede che sconfigge il male.
Quest’anno purtroppo non potremo farlo, causa pandemia ☹, in compenso saremo gemellati con Genova e Firenze, anch’esse patrocinate da San Giovanni, per festeggiamenti in streaming.
(* =falò: tra Torino ed Asti spesso la L si trasforma in una strana R uvulare, la cui pronuncia solo il professor Higgins di “My Fair Lady” potrebbe spiegare…😁)
Anche qui nome Giovanni Battista era molto diffuso, ora però – come molti nomi di tradizione – sta praticamente sparendo. O meglio, sparisce Battista e resta solo Giovanni: quello va ancora molto 😊